martedì 30 luglio 2013

Cinquanta sfumature di Pentateuco: Genesi.

     Per trentaquattro anni m'è toccato indossare il nome di Cristiano: son cose che un po' di curiosità la mettono. Così, pur da apostata e sbattezzato, ho finalmente intrapreso la lettura integrale del Vecchio Testamento: senza una preparazione teologica, senza conoscere l'ebraico o l'aramaico, e quindi senza nessuna pretesa esegetica seria; ma affidandomi solo ad un'edizione italiana di qualche anno fa - completa di imprimatur e di gustose note a margine - e alla mia modesta interpretazione. Di seguito presenterò alcune riflessioni sul Pentateuco, ovvero il corpus dei primi cinque libri del canone ebraico.
     I maligni dovrebbero tenere ben presente che, piuttosto che l'intento dissacrante o la velleità di scandalizzare, sono state essenzialmente la pioggia e la noia di questa giornata novembrina [il testo risale al Novembre 2012, ndMe] ad animarmi alla poco meritoria impresa.

Libro I: Genesi
     Sappiamo tutti che Dio creò ogni cosa in sei giorni. Evidentemente aveva progetti piuttosto precisi, perché pare che creasse gli animali domestici ancor prima dell'uomo (1, 24); e molto prima, quindi, della domus, visto che questo si aggirava nudo e senza meta per il giardino dell'Eden. Sulla cui ubicazione - ci tiene a precisare il curatore - si contano circa ottanta opinioni diverse: tutto lascia pensare, però, che esso si trovasse in Armenia o Mesopotamia. Strano, vero?
     La storia è nota: il serpente induce Eva a cogliere il frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male ed a mangiarne insieme a suo marito Adamo. Il concetto di autonomia morale, però, suona un tantino troppo progressista per l'epoca: per cui Dio s'incazza, scaraventa tutti fuori dal giardino e fa il culo al serpente ("Sii maledetto tra tutti gli animali"), ad Eva ("Moltiplicherò assai le tue pene e le doglie della tua gravidanza; avrai i figli nel dolore, tuttavia ti sentirai attratta con ardore verso tuo marito, ed egli dominerà su di te") e, più blandamente, allo stesso Adamo (che, fondamentalmente, viene condannato a lavorare per vivere; e vabbè, lo avesse condannato al precariato o alla disoccupazione sarebbe stato peggio).
     Poco dopo (capitolo 4) si ha una recisa presa di posizione anti-vegana da parte del Creatore: Abele (pastore) e Caino (agricoltore) fanno ciascuno la propria offerta al Signore. Il quale però "gradì Abele e ciò che gli offriva; ma non riguardò a Caino e alla sua scadente offerta". Poi uno dice che i vegetariani sono incazzati: è dall'alba dei tempi che vengono snobbati.
     Saltiamo al capitolo 17. Ci son già stati il diluvio (una sorta di riformattazione su scala planetaria) ed il crollo della torre di Babele, quando Dio propone il patto di alleanza ad Abramo, promettendo di moltiplicare la sua discendenza "in modo stragrande". In quest'occasione, Abramo non dimostra troppa serietà; visto che, pur prostrandosi fino a terra di fronte al Signore, "rise, dicendo in cuor suo: 'Potrebbe forse nascere un figlio ad un uomo di cento anni? E Sara, a novant'anni, potrà ancora aver prole? XD'".
     Nel frattempo, Sodoma e Gomorra stanno per essere distrutte. Come al solito, il Dio del Vecchio Testamento tenderebbe a risolvere le cose per le spicce e a nuclearizzare entrambe le città - colpevoli di peccati che la toponomastica suggerisce in maniera fin troppo eloquente. Ma Abramo, più riflessivo, lo invita a considerare che non sarebbe un gesto carino ammazzare anche quei poveri disgraziati che, innocenti, si trovassero per ventura ad aver comprato casa nel posto sbagliato. Insomma, alla fine Dio si lascia imbarcare e manda due angeli a dare un'occhiata a Sodoma; qui essi incontrano Lot, gran brava persona, che li rifocilla e li invita a trascorrere la notte presso di sé. "Ma prima ancora che si fossero coricati, gli uomini della città, i Sodomiti, circondarono la casa: giovani e vecchi, tutto il popolo accorse da ogni parte; chiamarono Lot e gli dissero: 'Dove sono quegli uomini venuti da te questa notte? Mandaceli fuori, ché li vogliamo conoscere.' Lot si presentò loro sulla soglia e chiuse la porta dietro di sé. Poi disse: 'Deh, fratelli miei, non vogliate commettere un male così grave! Ecco, io ho due figlie che non hanno mai conosciuto uomo: lasciate che io ve le conduca fuori, e ne farete quel che vorrete, ma a questi uomini non fate nulla, perché son venuti all'ombra del mio tetto'" (19, 4-8). Ah, beh. Proprio una personcina squisita, questo Lot.
     Insomma Lot si salva dalla distruzione mentre sua moglie, che è una stupida femmina, si volta indietro a guardare e diventa una statua di sale. Essendo stati sterminati tutti i concittadini, le due figlie, che evidentemente un po' zoccole lo erano sul serio e magari son rimaste male per la mancata gang bang, si preoccupano della discendenza: per cui fanno ubriacare il padre e se lo scopano, a turno, senza che questi neppure se ne accorga (19, 31-36). Interessante il fatto che, nel libro della Sapienza come nel secondo libro di san Pietro, Lot venga comunque chiamato "giusto"; in fondo era ubriaco, che colpa ne ha lui? Sant'Agostino, invece, trova disdicevole l'ebbrezza alcolica che lo ha temporaneamente privato dell'uso della ragione - ma non ha niente da eccepire sul duplice incesto.
     Questa ossessione per la discendenza si ritrova in tutta la Bibbia: gli Ebrei sono letteralmente angosciati all'idea di scomparire dalla faccia della terra, o di soccombere numericamente ai popoli confinanti. Molti cristiani sembrano esserlo tutt'oggi, ma se non altro sono state abbandonate alcune pratiche buffe, come quella del levirato: per impedire l'estinzione delle famiglie, presso gli Ebrei era costume, e poi divenne legge, che quando un ammogliato moriva senza figli il suo più prossimo parente ne sposasse la vedova; il primo figlio nato da questo secondo matrimonio era considerato come primogenito del defunto e suo legittimo erede.
     Ora, questa storia del levirato ha dato luogo ad uno dei passi più fraintesi dell'intera Bibbia: quello relativo ad Onan e alla pratica che da lui prende il nome. Leggiamo cosa dice il capitolo 38: "Ma Er, primogenito di Giuda, era spiacevole agli occhi del Signore e il Signore lo fece morire. Perciò Giuda disse a Onan: 'Entra dalla moglie di tuo fratello, compi il tuo dovere di cognato e suscita prole a tuo fratello'. Ma Onan, sapendo che la prole non sarebbe stata sua, quando si accostava alla moglie di suo fratello, impediva tutto emettendo il seme in terra, per non dar prole al suo fratello defunto. Ciò che egli faceva dispiacque molto al Signore, che fece morire anche lui". Capito il furbetto? Qui si parla palesemente di coitus interruptus, altro che masturbazione. Il povero Onan è passato alla storia come uno che si ammazzava di seghe, invece continuava semplicemente a bombarsi la moglie del fratello, evitando di metterla incinta per non dover rinunciare al passatempo. Peccato che avesse a che fare con un dio decisamente permaloso, per il quale ammazzare la gente era come sputar per terra.

(continua)

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