domenica 29 dicembre 2013

Intervista a Sir Gore.

Il fumetto ci scappa spesso, durante il viaggio in regionale: stavolta è particolarmente brutto e storto, ma con un protagonista d'eccezione.









sabato 17 agosto 2013

Cinquanta sfumature di Pentateuco: Levitico.

(segue dal secondo capitolo: Esodo)

Libro III: Levitico
     I nostri simpatici amici, gli Ebrei, hanno dunque salvato le proprie mediorientali chiappe dalle grinfie degli Egiziani. In realtà i guai sono appena cominciati, visto che il loro liberatore è un "Dio geloso" (Esodo 20, 5) che come tutti i gelosi patologici soffre di un grave disturbo di dipendenza affettiva: da qui alla fine del Vecchio Testamento non farà altro che alternare sfuriate e riconciliazioni, sadiche punizioni per la recidiva tendenza idolatrica del popolo eletto e nuovi definitivi patti d'alleanza. Il Levitico, in parole povere, costituisce l'alibi con cui il Creatore si prepara alle future persecuzioni.

     La prima parte, per la verità poco interessante, descrive i cerimoniali delle offerte a Dio, i riti espiatorî per il peccato, la destinazione dell'Otto per mille: "Darete pure in tributo al sacerdote la coscia destra delle vittime dei vostri sacrifici pacifici" (7, 32). La seconda parte affronta il difficile tema della vocazione, risolvendolo alla bell'e meglio con l'ereditarietà della carica sacerdotale, destinata alla sola discendenza maschile del gran sacerdote Aronne - quello del vitello d'oro, esatto.
     La terza parte è piuttosto spassosa: so che può suonare irriverente, come premessa, ma non saprei definire altrimenti una serie di norme di galateo alimentare volte a catalogare gli animali in puri ed impuri (sarà Gesù in persona a trollare sulla questione, in Marco 7, 19: "Non comprendete come tutto quel che entra dal di fuori dell'uomo non può contaminarlo; perché ciò non gli entra nel cuore, ma nel ventre, e se ne va nel cesso?"). Scopriamo così che è lecito mangiare "ogni animale che ha il piede forcuto, l'unghia spaccata e rumina" (11, 3). Ma attenzione ai false friends: il cammello e l'irace ruminano, ma non hanno l'unghia fessa; "la lepre, pur dando l'impressione di ruminare, non ha però l'unghia fessa" (11, 6); e non parliamo del porco, che ha avuto la sua vendetta solo con la fioritura del moderno linguaggio iconoclasta.
     Fra gli animali d'acqua è lecito mangiare "tutti quelli che hanno pinne e scaglie, sia nel mare che nei fiumi" (11, 9); ma tutti gli altri "dovete abominarli, non mangiare le loro carni e avere a schifo i loro corpi morti" (11, 11) - se possibile, accompagnando il moto del cuore ad un'espressione facciale di conveniente disgusto.
     Nel caso degli uccelli non esiste una vera e propria tassonomia, ma solo un elenco di bestie abominevoli: dall'aquila al... pipistrello.
     Ancora, gli insetti: "Sia per voi abominevole ogni insetto alato, che cammina con quattro piedi. Ma fra tutti gli insetti alati e che camminano con quattro piedi, voi potete mangiare quelli che sopra i piedi hanno due zampe da poter saltare sopra la terra" (11, 20). Mmm, ho già l'acquolina in bocca.
     Infine, abbiamo raccomandazioni che riguardano tutti i quadrupedi "che camminano sulle piante dei piedi" (11, 27): ecco perché il gatto e il cane vengono considerati tutt'oggi i più impuri amici dell'uomo. Menzione d'onore per gli animali "che corrono rasenti al suolo" (11, 29). Ciascuna di queste creature, morta, rende impuro fino alla sera chiunque la tocchi (cheat: se la tocchi di sera Dio va in crash), e rende altresì impuro qualunque oggetto con cui entri in contatto: cibo, bevande, fornelli, tutto dev'essere distrutto. "Però una sorgente o un pozzo, essendo riserve d'acqua, saranno pure" (11, 36) ché, insomma, va bene essere fanatici ma aspetta un attimo: viviamo pur sempre in un deserto di merda.

     Dopo gli animali è quasi inevitabile trattare uno degli oggetti di discriminazione preferiti dalle religioni di tutti i tempi: la donna. Qui la matematica non lascia spazio a troppe sottigliezze: "Quando una donna sarà rimasta incinta e avrà dato alla luce un maschio, sarà impura per sette giorni" e, dopo la circoncisione di questo, "resterà ancora altri trentatré giorni ritirata" (12, 2-4). "Se invece dà alla luce una bambina, sarà impura per due settimane [...] e resterà per altri sessantasei giorni ritirata" (12, 5). Per fugare ogni sospetto d'iniquità, il brillante curatore della mia Bibbia spiega: "L'immondezza della donna dopo aver dato alla luce una bambina era duplicata, sia perché si riteneva che avesse bisogno di un tempo maggiore per ristabilirsi (?), sia per avuto la parte più grande nel peccato originale." Certo, quella che oggi chiameremmo: circonvenzione d'incapace.
     Dopo le donne si passa alle norme igieniche volte a prevenire la diffusione della lebbra. Non senza mostrare una certa empatia, Dio raccomanda a Mosè che "il lebbroso, infetto di tal piaga, porti le vesti sdrucite, il capo scoperto, si veli il labbro superiore e vada gridando: 'Impuro, impuro!'" (13, 45).

     Oltre che per il divieto di mangiar gamberetti, il Levitico è noto al grande pubblico per aver innalzato l'omofobia a virtù: "Se un uomo giace con un altro uomo come si fa con una donna, tutti e due hanno commesso una cosa abominevole: siano messi a morte, e il loro sangue ricada sopra di loro" (20, 13).
     L'imparzialità è una caratteristica costante della legge divina; a seguire, leggiamo anche che "se uno prende in moglie tanto la figlia che la madre, è un delitto: siano gettati a bruciare nel fuoco lui e loro, affinché non ci sia delitto così grave in mezzo a voi" (20, 14). Occhio non vede, cuore non duole. E "chiunque si congiunge con una bestia, sia messo a morte; anche la bestia si uccida" (20, 15), quella scostumata.
     L'ossessione per l'omogeneità etnica che da sempre caratterizza gli Ebrei, e che si manifesta sovente nel massacrare intere popolazioni come se non ci fosse un domani, incontra talvolta espressioni meno cruente: per esempio nel non far accoppiare bestie di razza diversa, nell'evitare di seminare nello stesso campo specie di semi differenti, nel divieto divino d'indossare vesti intessute con due qualità di filo (19, 19). La rovina dei cinesi.
     L'aspirante alla strada della santità tenga infine presente che il Signore ha le idee piuttosto chiare anche per quanto riguarda le tendenze del look e della body modification: "Non vi tagliate in tondo i capelli ai lati della testa, e non vi radete i lati della barba. Non vi praticate incisioni sulla carne, per un morto, e non vi fate tatuaggi sulla pelle" (19, 27-28). Sembra che l'originale ebraico, purtroppo perduto, inveisse anche contro le lenti a contatto colorate.
     Insomma: precetti di grandi umanità, quelli del libro dei libri, che non cessano mai d'essere attuali.

     I sacerdoti potevano ancora, all'epoca di Mosè, sposarsi; purché non prendessero in moglie "una meretrice, né una donna disonorata, né una ripudiata dal suo marito" (21, 7). Loro stessi, per par condicio, erano tenuti ad una certa presenza fisica: "Nessun uomo difettoso deve prestar servizio davanti a Dio: né un guercio, né uno zoppo, né un mutilato, né chi abbia un'escrescenza, o una storpiatura ai piedi o alle mani, un gobbo, un nano, uno affetto da albugine, o da scabbia, o da erpete, o da ernia" (21, 17-20). D'altra parte quando si parla di bellezza Dio non sente seghe, è vietato anche offrirgli animali che abbiano "i testicoli schiacciati, infranti, strappati o recisi" (22, 24).

     Il Levitico si chiude allegramente con un'ultima sciorinata di precetti, promesse e minacce che vanno dalla lapidazione dei bestemmiatori (24, 14-16), all'istituzione degli anni sabbatici e giubilari. Molto carino il fatto che le terre non potessero essere vendute per sempre, ma venissero riscattate ogni sette anni ("perché la terra è mia, e voi siete presso di me soltanto come forestieri e ospiti", dice Dio in 25, 23), mentre gli schiavi fossero di proprietà perpetua e persino soggetti a passare in eredità (25, 45-46). Con questo non s'intende certo considerare gli esseri umani alla stregua di merce, Dio ci scampi; il tariffario per le persone votate alla consacrazione al Santuario si trova infatti poco più avanti: "Cinquanta sicli d'argento, in base al siclo del Santuario, per l'uomo dai venti ai sessant'anni; e trenta sicli per una donna. Se è una persona dai cinque ai vent'anni, la tua stima sarà di cinque sicli per il maschio e tre per la femmina. Se va da un mese a cinque anni, la tua stima sarà di cinque sicli per il maschio e tre per la femmina. E se la persona conta dai sessant'anni in su, la tua stima sarà di quindici sicli per il maschio e dieci per la femmina" (27, 3-7).

(continua)

mercoledì 7 agosto 2013

Cinquanta sfumature di Pentateuco: Esodo.

(segue dal primo capitolo: Genesi)

Libro II: Esodo
     Alla fine della Genesi, gli Ebrei si sono stabiliti in Egitto. Qui vivono in pace ed anzi proliferano come conigli, tanto che il faraone stesso comincia a preoccuparsi del loro numero; così decide di applicare una misura analoga a quella per cui, ancora ai tempi nostri, capita che le ragazze abbiano diritto ad entrare gratis in discoteca: ordina alle levatrici di sterminare ogni maschio che venga alla luce. Ma Mosè, partorito da una donna della casa di Levi che "vedendo che era così bello, lo tenne celato per tre mesi" (2, 2), viene messo in salvo in una cesta ed affidato alle correnti del Nilo. A ripescarlo è niente meno che la figlia del faraone; la quale decide di tenerlo ed anzi lo fa allattare da una balia ebrea, che a quanto leggo è proprio "la madre del bambino" (2, 8). Insomma, è un peccato che questo Mosè non abbia mai giocato al Superenalotto.
     Il nostro eroe riesce dunque a scampare alla morte e diventa adulto. Un giorno, mentre è a spasso, "vide un egiziano percuotere un ebreo, uno dei suoi fratelli. Egli allora si voltò di qua e di là; e, visto che non c'era nessuno, uccise l'egiziano e lo nascose nella sabbia" (2, 11-13). A sua discolpa, dobbiamo ricordare che non aveva ancora ricevuto il Decalogo, dove si legge a chiare lettere il comandamento: 'non uccidere'. Poi però, preso male, decide di fuggire nel paese di Madian e qui rimane fino all'allegra teofania del roveto ardente, allorché Dio in persona si manifesta per dargli istruzioni.
- Missione primaria: tornare in Egitto e convincere il faraone a liberare l'intero popolo ebraico.
- Missione secondaria: provocare il maggior numero possibile di danni collaterali per dimostrare a tutti la gloria del Signore.
     Il buon Dio - mitomane quanto vogliamo, ma pur sempre onesto - lo premette fin da subito: "io permetterò che il faraone indurisca il suo cuore, e così avrò modo di moltiplicare i miei prodigi e i miei portenti nella terra d'Egitto. Tuttavia, il faraone non vi darà ascolto. Ma io farò sperimentare all'Egitto la mia potenza e libererò da questa terra le mie schiere, il mio popolo, i figli d'Israele con grandi castighi" (7, 3-4). E infatti dieci piaghe colpiscono la nazione. Ogni volta il faraone sembra sul punto di lasciar partire gli Ebrei; ma poi, sistematicamente, ci ripensa: guarda caso perché qualcuno "permette che suo cuore s'indurisca sempre di più" (la formula ricorre, quasi identica, al termine di ogni flagello). Abbiamo dunque l'acqua del Nilo mutata in sangue, l'invasione delle rane, le zanzare (vabbè), i tafani, la morìa del bestiame, le pustole, la grandine, le cavallette, le tenebre, e finalmente la morte dei primogeniti. "Ogni primogenito morrà nel paese d'Egitto, dal primogenito del faraone, che siede sul trono, al primogenito della schiava che attende alla macina, come pure ogni primogenito degli animali" (11, 5): personalmente credo che gl'importasse una sega degli Ebrei, ai primogeniti della sguattera o del suo gatto. E tuttavia, come si dice, la legge è uguale per tutti.
     Alla fine, anche quel duro del faraone deve arrendersi all'evidenza: o gli Ebrei sono sotto la protezione di una divinità potente e scontrosa, oppure portano decisamente sfiga. Così li lascia partire, non prima che questi abbiano dato una bella dimostrazione di sportività derubando i loro ospiti di vesti e preziosi: "Perché il Signore stesso aveva fatto entrare il suo popolo nelle grazie degli Egiziani, i quali ben volentieri gli avevano prestato quelle cose: e così spogliarono gli Egiziani" (12, 36). Chiamiamolo pure Tfr. D'altra parte, chiosa simpaticamente il curatore della mia edizione della Bibbia, "Dio è padrone assoluto del mondo e di quanto contiene, quindi libero di darlo a chi crede."
     Tuttavia non finisce qui; nuovamente bisognoso di cercare conferme alla propria onnipotenza, questo Dio ancora poco pratico nelle finezze psicologiche che costituiranno la sua fortuna dal Nuovo Testamento in poi, riattacca con la solita solfa: "Ed io permetterò che il cuore del faraone si ostini, sicché egli li inseguirà, ma farò risplendere la mia potenza contro il faraone e contro tutto il suo esercito" (14, 4). E così accade: nel gran finale che tutti conosciamo, dopo che il Mar Rosso si è spalancato per lasciar passare gli Ebrei in fuga, le sue acque si richiudono sul sovrano e sul suo seguito.
     Grandi feste, manna dal cielo, fonti miracolose che sgorgano in pieno deserto: per gli Ebrei è un'autentica pacchia. Nemmeno in battaglia han di che preoccuparsi, come dimostra lo scontro con la tribù degli Amaleciti. "Or, avveniva che quando Mosè teneva alzate le mani, vinceva Israele; ma, quando egli le abbassava, vinceva Amalec. Siccome le mani di Mosè si erano stancate, Aronne e Hur presero una pietra e gliela misero sotto, ed egli ci si pose a sedere mentre loro gli sostenevano le mani, uno da una parte e uno dall'altra. Così le mani di Mosè rimasero ferme fino al tramontar del sole" (17, 11-12). M'immagino le risate. Il solito curatore della mia Bibbia, sempre pronto a cogliere il significato simbolico degli eventi storici ivi fedelmente riportati, va in brodo di giuggiole: "Ecco che cosa fanno e che cosa possono le mani dei sacerdoti in preghiera, specialmente nell'istante in cui levano in alto l'Ostia consacrata, presentando a Dio Padre suo Figlio sacrificato per noi, che ha un potere d'intercessione immensamente superiore al condottiero degli Ebrei". Non serve neanche il tiro-salvezza.
     Dopo tre mesi di vagabondaggi nel deserto, gli Ebrei raggiungono il Sinai. Anche all'interno del popolo eletto, c'è chi è più eletto degli altri: così Dio chiama Mosè sul monte, ma lo istruisce sui protocolli di sicurezza che dovranno impedire a chiunque altro di avvicinarsi al suo cospetto. "Metterai dei termini per il popolo, intorno al monte, e gli dirai: guardate di non salire sul monte, né di toccarne la base; chi toccherà il monte sarà fatto morire. Però nessuno tocchi con la sua mano quel tale, ma si lapidi o si saetti; tanto l'animale che l'uomo, non sia lasciato vivo" (19, 12-13). Tornato tra la sua gente, Mosè riferisce fedelmente le parole del Signore, invitando tutti a tenersi pronti perché di lì a tre giorni Dio si sarebbe manifestato; e, già che c'è, aggiunge di sua iniziativa: nel frattempo "non vi accostate a donna" (19, 15). Non si sa mai.
     Come predetto, tuoni e lampi si scatenano sul Sinai; in vetta al quale, nascosto da una spessa cappa di nubi, Mosè riceve i comandamenti: che in realtà sono ben più estesi di quelli riassunti nel celebre Decalogo, e si dilungano in tutta una serie di minuziose istruzioni. Alcuni sono semplici inviti al buon senso; per esempio, Dio raccomanda di "non salire per gradini al mio altare, affinché non si scopra sovr'esso la tua nudità" (20, 26). Altri sono invece precetti che spaziano dal diritto civile a quello penale. Vale la pena di ricordarne alcuni.
- "[...] richiederai vita per vita, occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, ustione per ustione, ferita per ferita, lividura per lividura" (21, 23-25).
- "Se il ladro, di notte, è colto nell'atto di scassinare ed è percosso e muore, non vi è delitto di sangue; ma se il sole s'era già levato, vi è delitto di sangue" (22, 1-2).
- "Non lasciar vivere la maliarda. Chi giace con una bestia sia messo a morte" (22, 17-18).
- "Non cuocere il capretto nel latte di sua madre" (23, 19); perché, come ci fa notare il solito, illuminante curatore, "cibarsi di animali è lecito; ma cuocerli nel latte che avrebbe dovuto nutrirli, sa di crudeltà".
     Segue anche un'interminabile, pedantissima descrizione di come dovranno essere realizzati il tabernacolo, i paramenti sacerdotali, gli altari, le vasche, eccetera: pagine e pagine per elencare misure, materiali, colori, istruzioni di montaggio. Roba che viene veramente voglia di rispondere: sei Dio, cazzo; crèali. O, per lo meno, fammi un disegno.
     In tutto questo, mentre Mosè prende nota di ogni cosa e sottoscrive il patto di eterna alleanza con cui l'Onnipotente s'impegna a proteggere gli Ebrei e a distruggerne i nemici, purché siano rispettate le sue leggi ed evitata ogni forma d'idolatria, Aronne (portavoce di Mosè e capostipite della futura classe sacerdotale) costruisce un vitello d'oro e lo venera come dio liberatore (32, 4) insieme al resto del popolo. Un epic fail che costerà agli Ebrei circa tremila esecuzioni sommarie (32, 28) e quarant'anni di peregrinazioni addizionali nel deserto.

(continua)

martedì 30 luglio 2013

Cinquanta sfumature di Pentateuco: Genesi.

     Per trentaquattro anni m'è toccato indossare il nome di Cristiano: son cose che un po' di curiosità la mettono. Così, pur da apostata e sbattezzato, ho finalmente intrapreso la lettura integrale del Vecchio Testamento: senza una preparazione teologica, senza conoscere l'ebraico o l'aramaico, e quindi senza nessuna pretesa esegetica seria; ma affidandomi solo ad un'edizione italiana di qualche anno fa - completa di imprimatur e di gustose note a margine - e alla mia modesta interpretazione. Di seguito presenterò alcune riflessioni sul Pentateuco, ovvero il corpus dei primi cinque libri del canone ebraico.
     I maligni dovrebbero tenere ben presente che, piuttosto che l'intento dissacrante o la velleità di scandalizzare, sono state essenzialmente la pioggia e la noia di questa giornata novembrina [il testo risale al Novembre 2012, ndMe] ad animarmi alla poco meritoria impresa.

Libro I: Genesi
     Sappiamo tutti che Dio creò ogni cosa in sei giorni. Evidentemente aveva progetti piuttosto precisi, perché pare che creasse gli animali domestici ancor prima dell'uomo (1, 24); e molto prima, quindi, della domus, visto che questo si aggirava nudo e senza meta per il giardino dell'Eden. Sulla cui ubicazione - ci tiene a precisare il curatore - si contano circa ottanta opinioni diverse: tutto lascia pensare, però, che esso si trovasse in Armenia o Mesopotamia. Strano, vero?
     La storia è nota: il serpente induce Eva a cogliere il frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male ed a mangiarne insieme a suo marito Adamo. Il concetto di autonomia morale, però, suona un tantino troppo progressista per l'epoca: per cui Dio s'incazza, scaraventa tutti fuori dal giardino e fa il culo al serpente ("Sii maledetto tra tutti gli animali"), ad Eva ("Moltiplicherò assai le tue pene e le doglie della tua gravidanza; avrai i figli nel dolore, tuttavia ti sentirai attratta con ardore verso tuo marito, ed egli dominerà su di te") e, più blandamente, allo stesso Adamo (che, fondamentalmente, viene condannato a lavorare per vivere; e vabbè, lo avesse condannato al precariato o alla disoccupazione sarebbe stato peggio).
     Poco dopo (capitolo 4) si ha una recisa presa di posizione anti-vegana da parte del Creatore: Abele (pastore) e Caino (agricoltore) fanno ciascuno la propria offerta al Signore. Il quale però "gradì Abele e ciò che gli offriva; ma non riguardò a Caino e alla sua scadente offerta". Poi uno dice che i vegetariani sono incazzati: è dall'alba dei tempi che vengono snobbati.
     Saltiamo al capitolo 17. Ci son già stati il diluvio (una sorta di riformattazione su scala planetaria) ed il crollo della torre di Babele, quando Dio propone il patto di alleanza ad Abramo, promettendo di moltiplicare la sua discendenza "in modo stragrande". In quest'occasione, Abramo non dimostra troppa serietà; visto che, pur prostrandosi fino a terra di fronte al Signore, "rise, dicendo in cuor suo: 'Potrebbe forse nascere un figlio ad un uomo di cento anni? E Sara, a novant'anni, potrà ancora aver prole? XD'".
     Nel frattempo, Sodoma e Gomorra stanno per essere distrutte. Come al solito, il Dio del Vecchio Testamento tenderebbe a risolvere le cose per le spicce e a nuclearizzare entrambe le città - colpevoli di peccati che la toponomastica suggerisce in maniera fin troppo eloquente. Ma Abramo, più riflessivo, lo invita a considerare che non sarebbe un gesto carino ammazzare anche quei poveri disgraziati che, innocenti, si trovassero per ventura ad aver comprato casa nel posto sbagliato. Insomma, alla fine Dio si lascia imbarcare e manda due angeli a dare un'occhiata a Sodoma; qui essi incontrano Lot, gran brava persona, che li rifocilla e li invita a trascorrere la notte presso di sé. "Ma prima ancora che si fossero coricati, gli uomini della città, i Sodomiti, circondarono la casa: giovani e vecchi, tutto il popolo accorse da ogni parte; chiamarono Lot e gli dissero: 'Dove sono quegli uomini venuti da te questa notte? Mandaceli fuori, ché li vogliamo conoscere.' Lot si presentò loro sulla soglia e chiuse la porta dietro di sé. Poi disse: 'Deh, fratelli miei, non vogliate commettere un male così grave! Ecco, io ho due figlie che non hanno mai conosciuto uomo: lasciate che io ve le conduca fuori, e ne farete quel che vorrete, ma a questi uomini non fate nulla, perché son venuti all'ombra del mio tetto'" (19, 4-8). Ah, beh. Proprio una personcina squisita, questo Lot.
     Insomma Lot si salva dalla distruzione mentre sua moglie, che è una stupida femmina, si volta indietro a guardare e diventa una statua di sale. Essendo stati sterminati tutti i concittadini, le due figlie, che evidentemente un po' zoccole lo erano sul serio e magari son rimaste male per la mancata gang bang, si preoccupano della discendenza: per cui fanno ubriacare il padre e se lo scopano, a turno, senza che questi neppure se ne accorga (19, 31-36). Interessante il fatto che, nel libro della Sapienza come nel secondo libro di san Pietro, Lot venga comunque chiamato "giusto"; in fondo era ubriaco, che colpa ne ha lui? Sant'Agostino, invece, trova disdicevole l'ebbrezza alcolica che lo ha temporaneamente privato dell'uso della ragione - ma non ha niente da eccepire sul duplice incesto.
     Questa ossessione per la discendenza si ritrova in tutta la Bibbia: gli Ebrei sono letteralmente angosciati all'idea di scomparire dalla faccia della terra, o di soccombere numericamente ai popoli confinanti. Molti cristiani sembrano esserlo tutt'oggi, ma se non altro sono state abbandonate alcune pratiche buffe, come quella del levirato: per impedire l'estinzione delle famiglie, presso gli Ebrei era costume, e poi divenne legge, che quando un ammogliato moriva senza figli il suo più prossimo parente ne sposasse la vedova; il primo figlio nato da questo secondo matrimonio era considerato come primogenito del defunto e suo legittimo erede.
     Ora, questa storia del levirato ha dato luogo ad uno dei passi più fraintesi dell'intera Bibbia: quello relativo ad Onan e alla pratica che da lui prende il nome. Leggiamo cosa dice il capitolo 38: "Ma Er, primogenito di Giuda, era spiacevole agli occhi del Signore e il Signore lo fece morire. Perciò Giuda disse a Onan: 'Entra dalla moglie di tuo fratello, compi il tuo dovere di cognato e suscita prole a tuo fratello'. Ma Onan, sapendo che la prole non sarebbe stata sua, quando si accostava alla moglie di suo fratello, impediva tutto emettendo il seme in terra, per non dar prole al suo fratello defunto. Ciò che egli faceva dispiacque molto al Signore, che fece morire anche lui". Capito il furbetto? Qui si parla palesemente di coitus interruptus, altro che masturbazione. Il povero Onan è passato alla storia come uno che si ammazzava di seghe, invece continuava semplicemente a bombarsi la moglie del fratello, evitando di metterla incinta per non dover rinunciare al passatempo. Peccato che avesse a che fare con un dio decisamente permaloso, per il quale ammazzare la gente era come sputar per terra.

(continua)

martedì 4 giugno 2013

Il pianeta proibito.

Quanti mi conoscono oggi concordano nell'avere a che fare con una persona sana, equilibrata e modesta; sorprendentemente, non è sempre stato così.








domenica 7 aprile 2013

Ma santo Coelho!

L’asino e il contadino (P. Coelho)

     "Un giorno l'asino di un contadino cadde in un pozzo. Non si era fatto male, ma non poteva più uscire. Il povero animale continuò a ragliare sonoramente per ore. Il contadino era straziato dai lamenti dell'asino, voleva salvarlo e cercò in tutti i modi di tirarlo fuori ma, dopo inutili tentativi, si rassegnò e prese una decisione crudele. Poiché l'asino era ormai molto vecchio e non serviva più a nulla, e poiché il pozzo era ormai secco e in qualche modo bisognava chiuderlo, chiese aiuto agli altri contadini del villaggio per ricoprire di terra il pozzo. Il povero asino imprigionato, al rumore delle palate e alle zolle di terra che gli piovevano dal cielo capì le intenzioni degli esseri umani e scoppiò in un pianto irrefrenabile. Poi, con gran sorpresa di tutti, dopo un certo numero di palate di terra, l'asino rimase quieto. Passò del tempo, nessuno aveva il coraggio di guardare nel pozzo mentre continuavano a gettare la terra. Finalmente il contadino guardò nel pozzo e rimase sorpreso per quello che vide, L'asino si scrollava dalla groppa ogni palata di terra che gli buttavano addosso, e ci saliva sopra. Man mano che i contadini gettavano le zolle di terra, saliva sempre di più e si avvicinava al bordo del pozzo. Zolla dopo zolla, gradino dopo gradino l'asino riuscì ad uscire dal pozzo con un balzo e cominciò a trottare felice."

A questo punto, ho pensato: ma allora qualcosa di carino è riuscito a scriverlo anche Coelho? Poveretto, voglio dire, almeno venti venticinque euro di quel che ha guadagnato nella sua vita saranno stati meritati.
No. Perché il prolifico mercante di sillabe, preoccupato che forse qualche oloturia fra le meno dotate non fosse arrivata a cogliere il prezioso messaggio adombrato dalla metafora, si sente in dovere di procedere ad una pedissequa esegesi delle profonde allegorie filosofiche, esibendo tutto il paziente sussiego del milionario che ha capito quanto siano importanti i milioni.

     "Quando la vita ci affonda in pozzi neri e profondi, il segreto per uscire più forti dal pozzo é scuoterci la terra di dosso e fare un passo verso l'alto. Ognuno dei nostri problemi si trasformerà in un gradino che ci condurrà verso l’uscita. Anche nei momenti più duri e tristi possiamo risollevarci lasciando alle nostre spalle i problemi più grandi, anche se nessuno ci da una mano per aiutarci. 
La vita andrà a buttarti addosso molta terra, ogni tipo di terra. Principalmente se sarai dentro un pozzo. Il segreto per uscire dal pozzo consiste semplicemente nello scuotersi di dosso la terra che si riceve e nel salirci sopra. Quindi, accetta la terra che ti tirano addosso, poiché essa può costituire la soluzione e non il problema."


Mi chiedo perché non abbia incluso anche un'illustrazione in AutoCAD del lavoro svolto dall'asino per emergere dal pozzo.



mercoledì 3 aprile 2013

A un certo punto, mi sono detto...

...ma perché farsi tanti scrupoli? Ricominciamo a pubblicare su questo blog, foss'anche roba di pessimo gusto.